Loro SI che razzolano male

Razzolano male(602) Riceviamo e pubblichiamo queste foto che riprendono dei manifesti affissi in una cittadina lombarda. A spedirceli è un nostro compaesano che afferma di essere rimasto sbalordito e indignato difronte a titoloni politici che screditano il nostro  territorio, che ha invece tanto sofferto e che non merita di essere pubblicizzato come usurpatore e mangiasoldi. Il nostro amico conclude che ci invia queste foto per divulgarle a tutti noi belicini perchè sicuramnte questa campagna pubblicitaria non sarà mai affissa al sud. Si rimane veramente "spennati" difronte a tale pubblicità politica generalista. Sicuramente non sono stati i belicini a sperperare palate di soldi ma gli ingranaggi politichesi. 

16 commenti

  1. Caro Filippo

    siamo alle solite

    gettare fango per qualcuno è un utile esercizio soprattutto per colpire i polli.

    In questo caso i cittadini.

    Questa battuta sul belice è una grossa falsità.

    Mancano infatti i soldi sperperati per l’IRPINIA, e soprattutto non fa giustizia rispetto a quelli spesi in raffronto con il Friuli.

    Una sparata grossolana.

    Non è servito a nulla la venuta di Di Pietro a SMB, ed in generale nel Belice, da politico e poi da Ministro, se il ragionamento dell’ex magistrato è questo!.

    Fermiamo le bestiemmie

    prima che diventano preghiere.

    Giovanni LA SALA

  2. Una stima effettuata nel 2005 dall’ex Ragioniere dello Stato Andrea Monorchio attesta che il Belice ha avuto dallo Stato 12.000 miliardi di vecchie lire e il Friuli 26.600.

  3. Ma vogliamo dire la verità?

    Di soldi il Belice ne ha avuti a iosa…pochi sono serviti per le case e troppi per le cattedrali nel deserto.

    Vi ricordo la chiesa costruita a Gibellina, un’opera maestosa ma subito crollata (soldi spesi beni?);

    Gibellina sembra una città del futuro, opere di ogni genere (vedi sistema delle piazze), sculture ovunque….ma di persone sempre meno;

    date una controllatina a Salaparuta e Poggioreale, monumenti enormi ma manca la gente;

    Soldi sperperati a Santa Margherita? naaaaaaa neanche un centesimo, a parte le opere mai completate (vedi ospedaletto-ambulatorio rimasto a metà);

    …l’elenco potrebbe continuare!

    Di Pietro ha ragione, come sempre!

  4. lo spreco di sicuro non è colpa nostra… ma della politica, che ha diviso malissimo i soldi che al belice servivano per la ricostruzione… quanti comuni sono stati colpiti? ….quanti invece hanno ricevuto fondi per la ricostruzione?….

    vi siete chiesti come mai LERCARA FRIDDI è un comune terremotato e si trova a praecchie decine di Km dall’epicentro del ’68??

    Il manifesto è perfettamente lecito… i soldi al sud si sono sperperati e ci hanno mangiato tutti! tranne quelli che ne avevano veramente bisogno

  5. Parlare di facile qualunquismo populista ed acchiappavoti (almeno ci prova)in area leghista, è forse sbagliato ? Guarda caso son tutti finanziamenti indirizzati al sud,(il sud inizia da roma a scendere !!!) da sempre non “ben visto” da alcune frange della lega. Stranamente manca all’appello l’irpinia, indovina perchè ? Comunque, niente che già non si sappia. Bello (sic!!!) lo slogan in fondo al manifesto,sotto la foto di un pollo style amadori, richiama i vecchi western fine anni 60, solo che di pietro in veste di ringo, proprio non ce lo vedo. Comunque, pur di recimolare voti alle europee, tutto fà brodo ! Incolpevole Pollo compreso !!!

    Giacomo Giuffrida

  6. al post n°5 – di pietro, parlando di “spreco nel belice” banalizza e generalizza populisticamente l’uso delle somme investite dallo stato nel belice.Ma io ti chiedo, è definibile “spreco” la giusta ricostruzione delle case per chi tutto aveva perduto ? E’ “spreco” aver cercato di ridare un assetto più attualizzato e funzionale al territorio ? Gli esempi che tu porti, e la cui critica, in linea di massima, condivido, non sono considerabili se non come pessima utilizzazione,spesso a fini clientelari della locale politica, delle somme stanziate, e di casi analoghi, in cui si è “esagerato” con a volte “eccessiva disinvoltura” convengo che ve ne siano stati fin troppi.Ma parlare generalisticamente di “spreco”,ossia lasciare intendere che tutti i soldi inviati nel belice “siano stati uno spreco”,per lo Stato, mi sembra un pò esagerato ed ingeneroso nei confronti di chi, perso tutto,ha ricostruito un tetto sotto il quale vivere e continuare a lavorare sul territorio. Indubbiamente sono mancati i controlli in sede locale, ma non dimentichiamo che il Belice è stato un pò la “palestra” sulla quale lo Stato si è dovuto confrontare sulla prima grossa catastrofe naturale dopo quella di Messina. Di pietro, diciamocelo,spesso ama cavalcare un certo facile populismo d’effetto, tanto caro al vecchio concetto di politica, che oggi, non sempre “ci azzecca”.E poi, Non ti sembra ” curioso”,che nell’elenco riportato nel manifesto “incriminato” manchino l’Irpinia, (è a sud), notoriamente riserva di voti idv, ed il Friuli, zona del nord (lega) dove di pietro ha fatto proprio il suo ultimo tour-sondaggio elettorale ? O gli “sprechi” li indicava tutti, o sarebbe forse stato opportuno che non “dettagliasse” eccessivamente.Esagerare, a volte è divertente, ma alla fine stanca, ed esagerare politicamente, e retoricamente, non sempre paga.

    giacomo giuffrida

  7. Caro Giacomo, non credo di avere affermato che i soldi spesi per le case da ricostruire sono stati uno spreco!

    Ho solo cercato di dire (e me ne dai atto anche tu) che troppi soldi, destinati alla ricostruzione, sono stati sperperati in miriadi di rivoli tanto da utilizzare il “rivolo costruzione” quasi per gentile concessione!

    Il fatto che manchi l’Irpinia, il Friuli è certo una mancanza, condivido!

    Dammi atto che le “cattedrali nel deserto” esistono, sono state costruite a vantaggio di alcuni pseudopolitici di passaggio che hanno cavalcato l’onda e ne hanno tratto vantaggio!

    Ti saluto cordialmente….Accursio!

  8. Caro Accurzio, infatti, il mio post 8 non era tanto una critica diretta a te, che hai detto cose sostanzialmente corrette, quanto al “generalismo pressapochista” dello slogan usato furbescamente da di pietro. Unica cosa sulla quale dissento da quanto da te scritto, è la chiusura del tuo post,”Di Pietro ha ragione, come sempre! “. Stavolta, ma è già successo altre volte a di pietro, la generalizzazione NON rende giustizia al reale stato delle cose, mischiando in unico calderone il buono ed il brutto, (o se vuoi “pessimo”) connesso alla storia della ricostruzione del belice. Come vedi, la critica non era indirizzata a te, quanto al di pietro pensiero che tu, nella chiusa, accetti forse, un pò “a prescindere”.ricambio i cordiali saluti. Giacomo Giuffrida

  9. Sono scioccata!

    E pensare che Di Pietro e il suo partito mi sembravano persone serie. Eppure chi, più di lui, sa quello che avviene nelle lobby per arraffarsi la maggior parte dei soldi.

    Che schifo! Prendersela con i belicini! Troverò l’e-mail di Di Pietro e gli spedirò il pollo arrostito!!!!!

  10. ORDINAZZA ANSiA

    Sembra che l’Amministrazione del Comune di S.Margherita di Belice abbia invitato l’On. Antonio Di Pietro a venire a constatare di persona lo stato della ricostruzione dopo il sisma del 1968.

    Sembra che il coordinamento nazionale del partito dell’Italia dei Valori abbia manifestato parecchio entusiasmo.

    Finalmente l’On. di Pietro riuscirà a farsi comprendere da qualcuno che parla la stessa sua lingua (che non è l’italiano!!).

    Chissà, invece, se l’On. Di Pietro riuscirà a capire la lingua del Sindaco Belicino…?

  11. memoria … corta …

    x non dimenticare

    di Tony Zermo,

    da “La Sicilia” del 16 Gennaio 1968

    L’inferno comincia a Sciacca. Atterriamo di sera, su una spiaggia larga dieci metri e senza luce, con un elicottero dell’Agip pilotato dal comandante Di Falco che porta una cassa di medicinali e noi. C’è un vento gelido, il cielo di catrame. Sciacca è deserta, ieri e stanotte la città è stata scossa rudemente dalle fondamenta e la popolazione è fuggita per le campagne. Funzionano soltanto alcuni alberghi, dove sono accampati decine di superstiti, e un bar. Le linee telefoniche sono rimaste interrotte per quasi tutta la giornata. Ma il dramma è più su, a venti chilometri. Lì una volta c’era un paese che si chiamava Montevago, ora non esiste. Sono rimasti soltanto duecento morti, forse più. Ci viene incontro un carabiniere sceso con una jeep. Ci chiede quale sia la strada per Montevago. Non lo sappiamo, ma intanto saliamo a bordo. Mentre ci incamminiamo, dice: “L’avrò fatta almeno venti volte oggi, questa strada, portando feriti all’ospedale di Sciacca, ma non me la ricordo più”. Tastiamo con la mano: c’è ancora sangue fresco sui sedili. Il carabiniere si chiama Salvatore Camilleri, è di Agrigento, ma appartiene alla stazione di Casteltermini. Fino alle 4 del mattino era stato di guardia all’ufficio postale, poi era venuto il brigadiere e l’aveva spedito con alcuni suoi colleghi a Montevago. “C’è la neve sulla strada – dice -, alta venti centimetri. Anche con le catene si faticava a camminare con questa jeep. Siamo arrivati verso le 11 e già era un disastro”. La macchina ogni tanto sbanda, lo avvertiamo. “ Non è niente – risponde il carabiniere-, è che non dormo da ieri” E si frega gli occhi per svegliarsi. “Quanti morti ci sono lassù?” chiediamo. “Non so, abbiamo cercato casa per casa. Non c’è n’è una in piedi; un paio hanno resistito, ma sono tutte lesionate. I cadaveri recuperati sono finora una quindicina, ma i dispersi sono centinaia, certamente molti di essi sono ancora sotto le macerie. Io porto solo feriti, e i miei compagni scavano. Ma è pericoloso ora al buio, ci sono crolli ogni minuto. Sono passato anche da Gibellina e Menfi. Anche lì solo poche case hanno retto, ma i morti sono a Montevago”. E si frega gli occhi. Si sale verso la montagna, il tempo è da lupi. Via via incontriamo altre camionette della polizia e dei carabinieri, qualche pulman che scende. “Porta superstiti a Sciacca” dice il carabiniere. Poi piccoli gruppi di persone ai bordi della strada. Hanno sulle spalle le coperte dei loro letti, l’unica cosa che siano riusciti a prendere da casa. Alcuni, i più fortunati, cercano di riscaldarsi facendo ardere qualche pezzo di legno. Gli altri sono fermi, seduti sui piccoli cippi dei contachilometri e sulle pietre. Sembrano statue, attendono da stanotte di essere soccorsi. Un uomo ci ferma, è pallido, batte i denti dal freddo. “Avete pane?” ci chiede. Noi rispondiamo di no, che non abbiamo viveri. E il fantasma ha uno scoppio d’ira: “Che siete venuti a fare, allora?”. E ci guarda con occhi di fuoco. Molti assembramenti di auto sui prati, somigliano a carovane di zingari. È la gente “ricca”, che possiede una macchina e può dormirvi dentro, al riparo dai crolli. Ma stanotte, molti che dormivano dentro le auto vicino a qualche edificio, sono rimasti schiacciati dal crollo dei muri. Adesso nei paesi non è rimasto nessuno, sono tutti dispersi in campagna. Anche per questo è difficile fare la conta dei morti. Passiamo da Santa Margherita di Belice, ogni tanto cadono fiocchi di neve. Non c’è anima viva, come ai tempi dei bombardamenti. Metà delle case è crollata, alcune auto schiacciate sembrano tragici scarafaggi. Le luci della jeep illuminano a terra i soliti rimasugli di ogni disastro: letti, frigoriferi, scarpe, giocattoli, c’è perfino una campana caduta da una chiesa spaccata a metà. E poi un gran silenzio, un silenzio di morte. Sapevamo che la strada era stata liberata dai militi per facilitare il passaggio dei soccorsi, ma ad un certo punto la troviamo bloccata da alcuni massi. “Quando sono passato poco fa – dice il carabiniere- non c’erano, ci deve essere stato un altro crollo nel frattempo”. Spostiamo a fatica i massi e procediamo con cautela. Vicino c’è un edificio a sei piani in costruzione. Lo superiamo con una punta di panico. Ancora pochi chilometri, un’agghiacciante colonna di gente accampata alla meno peggio, di mani che si protendono nel buio. Poi arriviamo a quella che fu Montevago. “Da qui –dice il carabiniere- è impossibile proseguire. Montevago è crollata tutta, anche le strade” E ci saluta. Troviamo un piccolo assembramento di gente, militi, un paio di medici, alcuni sacerdoti e qualche deputato. Montevago è tutta qui. Ci inoltriamo per qualche decina di metri dove ci sono solo macerie, polvere di mattoni ancora sospesa a mezz’aria, e poi buio infinito, come se il mondo finisse qui, a Montevago. Il buio è rotto solo da una luce, è un gruppo elettrogeno dei vigili del fuoco di Sciacca, non ne sono arrivati altri. Parlo con l’ufficiale più alto in grado, il capitano Leone. “Ci sono qui centocinquanta uomini -dice-, finora abbiamo estratto 14 cadaveri. I feriti sono innumerevoli, vengono avviati a Sciacca e Agrigento”. Ma in questo momento gli uomini lavorano? “No, non abbiamo luce, e c’è pericolo di crolli ad ogni movimento. Riprenderemo domani appena fa giorno”. “Ma sotto le macerie ci sono ancora centinaia di vivi. Da qui a domani moriranno” diciamo. L’ufficiale non risponde, non può rispondere, non sa perché non sono arrivati i gruppi elettrogeni da Palermo. Non sa che fine hanno fatto i vagoni volanti partiti da Ciampino carichi di viveri, tende e coperte. Non sa come dire, se non “aspettate”, alla tragica teoria di persone che stanno li mute, a pochi metri da lui, nella speranza che qualcuno si ricordi di loro. Il dramma maggiore forse è questo, il dramma dei sopravvissuti. C’è un paese che crolla, che viene cancellato dalla faccia della terra, la cui popolazione è decimata. Tutto in una sola notte, e lo Stato non riesce con la rapidità necessaria ad assicurare un ricovero e un pezzo di pane ai superstiti, nemmeno 24 ore dopo il disastro. D’accordo, Montevago era soltanto un piccolo paesino in mezzo alle montagne, era lontano, le comunicazioni erano difficili, le linee telefoniche interrotte, ma non si trattava di andare nel cuore dell’Africa. Montevago era pur sempre un pezzo di casa nostra. Così mentre il governo diramava ottimistici comunicati di “mobilitazione generale”, i massicci invii di colonne di soccorso, mentre la pletorica macchina d’emergenza si metteva in azione, gli agonizzanti sotto le macerie di Montevago avevano il tempo di esalare l’ultimo respiro. Mentre scrivo queste note alla luce della fotoelettrica, sento le grida soffocate di quanti stanno sotto le macerie, a pochi metri da me, come se fosse un grande rantolo nella notte…

  12. Al post n. 13

    il racconto del giornalista fà venire la pelle d’oca. Però, non hai l’impressione che dopo 41 anni dal terremoto ci sia qualcosa che non torna??

  13. … qualcosa che non torna ? …

    TUTTO TORNA !!!!

    … Non c’è anima viva, come ai tempi dei bombardamenti … i soliti rimasugli di ogni disastro … poi un gran silenzio, un silenzio di morte …

    USCITE ED ANNUSATE !

    … memoria … corta …

    SI TROPPO CORTA !!!!!

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