Da Sette: Quel che resta di un romanzo

Dal nostro amico Filippo, riceviamo la segnalazione di un articolo pubblicato sulla rivista Sette (storico inserto de Il Corriere della Sera) che tratta del nostro Palazzo Filangeri, a firma di Antonio D’Orrico.
Inoltre, sulla versione cartacea c’è una bella foto su due pagine.
Qui trovate l’articolo sulla fonte:
Quel che resta di un romanzo
Il palazzo del principe di Salina e quello del ragazzo ferito a morte di La Capria. La pineta di D’Annunzio e la stazione ferroviaria di Tondelli. Viaggio nei luoghi dove scrittori e poeti hanno ambientato i loro capolavori
Nel 1978 lo scrittore Alberto Ongaro, all’epoca inviato dell’Europeo, andò a Los Angeles sulle tracce di Philip Marlowe, il detective di Raymond Chandler. Tra i posti che visitò c’era un palazzo all’incrocio tra Hollywood Boulevard e Ivar Avenue. Qui, nei romanzi di Chandler, si trova l’ufficio del più celebre investigatore privato di tutti i tempi. Mentre curiosa nel palazzo alla ricerca di spunti per il pezzo che deve scrivere, Ongaro, quasi non credendo ai suoi occhi, si imbatte in una bella ragazza bionda e molto agitata (il classico tipo chandleriano) che gli chiede dov’è l’ufficio del detective. Dubitando che la ragazza abbia scambiato la fantasia per la realtà e non abbia tutte le rotelle a posto, Ongaro sta per rispondere che da molti decenni quell’ufficio non c’è più ed è stato solo un’invenzione romanzesca quando il suo sguardo cade su una targhetta con la scritta: «Albert Karsa Investigations ». A quel punto suona il campanello, perché vuole vedere in faccia l’uomo che è subentrato a Philip Marlowe…

La storia continua (Ongaro fa poi conoscenza con Karsa) ma non c’è tempo per raccontarla qui. L’ho citata perché è la prima cosa che mi viene in mente quando si parla di luoghi letterari, dei posti, cioè, dove sono stati ambientati romanzi o poesie celebri. In Italia non c’è mai stato un culto, come accade invece nei Paesi anglosassoni, per i luoghi che hanno ospitato o ispirato letteratura. Con la sola, grande eccezione costituita da Giampaolo Dossena. Dossena, che è stato uno degli studiosi più originali, eccentrici e competenti della (vera) cultura nazionale (per capirlo basta leggere la sua straordinaria Storia confidenziale della letteratura italiana), progettò un gigantesco censimento dei luoghi letterari italiani. Dovevano essere tre volumi (nord, centro e sud). Riuscì a portarne a compimento uno solo, quello dedicato all’Italia settentrionale (Luoghi letterari, ripubblicato l’ultima volta nel 2003 dalle Edizioni Sylvestre Bonnard).

Il Mulino Bianco. Perché agli italiani non piace molto andare per luoghi letterari? Il discorso si farebbe lungo ma una veloce risposta sta proprio nell’aggettivo («confidenziale ») che Dossena ha affibbiato alla sua Storia. Il rapporto che gli italiani hanno con la loro letteratura non è quasi mai confidenziale. È, come si sa, scolastico, istituzionale, reverenziale e anaffettivo. E non si è mai capito dove finisce la soggezione e comincia il menefreghismo e viceversa. Sono pochissimi gli italiani sfiorati dall’idea che la letteratura si possa visitare, possa essere meta di una gita, indirizzo turistico. Dossena fa giustamente notare che, nelle belle e gloriose guide del Touring Club Italiano, lo spazio dedicato alle notizie di carattere letterario è quasi nullo «in confronto allo spazio dedicato alle notizie di carattere artistico, storico-politico, economico ecc.».

Tra le bellezze e i vanti nazionali posto per la letteratura non c’è. Qualche anno fa Sandro Veronesi scrisse un irresistibile reportage sulle folle che vagavano nei weekend alla ricerca del fantomatico Mulino Bianco, protagonista di uno spot televisivo molto popolare. La morale è che i luoghi pubblicitari sono più frequentati dei luoghi letterari. Detto tutto ciò, c’è da segnalare una vistosa e favolosa eccezione: il fenomeno di Vigàta, la patria del commissario Montalbano inventata da Andrea Camilleri e diventata ormai meta di gran turismo tanto che a Porto Empedocle, posto natale dello scrittore, hanno aggiunto il nome della città immaginaria nei cartelli stradali di benvenuto. Il fenomeno non avrebbe sorpreso Dossena che nell’introduzione ai suoi Luoghi letterari scrive: «Forse i buoni autori di gialli sono tra i più efficaci creatori di luoghi letterari (fra i trenta esempi che si affollano subito in mente, lasciamo entrare almeno la vecchia casa d’arenaria di Nero Wolfe)». Ora possiamo aggiornare la lista dei trenta esempi che venivano in mente a Dossena con la casa sulla spiaggia di Montalbano con il suo incantevole terrazzino.

Qui finiamo la parte teorica e passiamo alla parte pratica. Cosa si può fare per incoraggiare gli italiani a visitare i loro luoghi letterari? Tanto per cominciare si può dare il buon esempio. È quello che abbiamo fatto con il fotografo Alessandro Grassani visitando e fotografando (amorevolmente) otto luoghi letterari dalla Lombardia alla Sicilia, che sono state location di famosi romanzi o di poesie. Perché abbiamo scelto questi otto? Dico la verità, perché sono stati i primi che mi sono venuti alla mente. È stata una scelta di cuore più che di testa, dell’inconscio più che della coscienza.

La vera Donnafugata. La prima tappa è stata il palazzo di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento, dove vissero i principi di Lampedusa, compreso l’ultimo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il grande scrittore del Gattopardo. Il palazzo è quello dove Tomasi di Lampedusa passò le estati della sua infanzia, e ispirò nel romanzo il palazzo di Donnafugata, il buen retiro del Gattopardo. Ovviamente il posto non è più quello favoleggiato dallo scrittore ma continua a emanare una profonda e struggente suggestione. È la memoria dell’antica grandezza del Sud e della Sicilia. La consapevolezza di una decadenza che quel romanzo dal singolarissimo destino ha raccontato come nessun altro. Resta così l’impressione di essere irrimediabilmente postumi davanti a tanta storia, a tanta civiltà. Il sospetto che sull’Italia Unita e sul suo peccato d’origine avesse ragione il Gattopardo. È un luogo malinconico che trasmette l’idea della fine di un mondo.

Il Bagno Ideale. Risaliamo la penisola. La seconda tappa è un altro palazzo: Palazzo Donn’Anna a Posillipo. È lo scenario di uno dei più (giustamente) celebrati romanzi italiani del Novecento, Ferito a morte di Raffaele La Capria. Un romanzo di amore e giovinezza per cui si sono spesi, di volta in volta e tutti assieme, i nomi di Proust, di Joyce e di Fitzgerald. A Palazzo Donn’Anna lo scrittore abitava da ragazzo e vi abita anche l’eroe del suo romanzo. La location è spettacolare, il mare entra dalle finestre e i davanzali delle stesse sono trampolini per tuffarsi in acqua (a proposito non di luoghi ma di foto letterarie: nell’album di famiglia degli scrittori italiani ha un posto d’onore una vecchia istantanea di La Capria, giovane leone, che effettua un perfetto tuffo da finale olimpica e sulla relazione, segreta e simmetrica, tra l’arte di tuffarsi e quella di scrivere lo stesso scrittore ha scritto un geniale trattato). Ovviamente sentirete dire che Palazzo Donn’Anna è in decadenza (come già era ai tempi del romanzo), e resterete un pochino perplessi a vederlo circondato da chiassosi stabilimenti balneari (ma dai nomi gentili tipo «Bagno Ideale» o «Bagno Sirena»). All’ingresso leggerete il cartello: «Siate civili!!! Evitate di parcheggiare davanti a questo cancello. Abbiamo il diritto di entrare nelle nostre case!!!». E, sotto, in caratteri più piccoli: «Portate i vostri cani a fare i bisogni altrove». Il mito letterario affoga nei problemi condominiali. Ma a vederlo, come l’ho visto io, una bella giornata di metà maggio, Palazzo Donn’Anna fa sempre la sua splendida figura.

Formula Uno. La terza tappa ci porta nella Maremma Toscana. Non un palazzo questa volta ma una strada, un viale infinito che ricorda con i suoi saliscendi e le sue gobbe una strada di San Francisco. È il viale di Bólgheri, il viale dei Cipressi di Carducci (tecnicamente si chiama provinciale 16d). La strada (bellissima) che ha ispirato a Giosuè Carducci Davanti San Guido: «I cipressi che a Bólgheri alti e schietti…». In gergo contemporaneo la si può definire la più celebre poesia italiana on the road. Racconta l’avventura di un vip (Carducci stesso) che si trova a passare dai luoghi della sua infanzia e delle radici familiari ora che è diventato un intellettuale di successo.

La poesia è un colloquio (interiore) con cipressi, querce, onde del mare, usignoli. Un richiamo della foresta contro la vanità della civiltà e della cultura. Oggi il viale di Bólgheri balza ricorrentemente agli onori della cronaca per le malattie che affliggono le piante (ma già succedeva ai tempi di Carducci che si opponeva a cure troppo radicali) e anche per il traffico automobilistico e motociclettistico che ha fatto dell’invitante rettilineo una specie di circuito di Formula Uno (ma qui è molto più bello che a Montecarlo). Comunque sia, il luogo resta meraviglioso ed è un magnifico poster vivente del senso di colpa nazionale per come abbiamo distrutto il paesaggio (e forse anche la poesia).

Succhiatori di linfa. Quarta tappa, ancora in Toscana, la pineta di Marina di Pisa, dove sostiamo in ricordo della Pioggia nel pineto di D’Annunzio. Questa tappa è stata preceduta e accompagnata da dibattiti filologici assieme al professor Franco Contorbia dell’Università di Genova, alla professoressa Anna Nozzoli dell’Università di Genova e al maestro Manlio Cancogni. Dibattiti sul come, il quando e il dove (e in compagnia – femminile – di chi) D’Annunzio avesse scritto quei versi. Dibattiti sul mito della Versilia (che fu D’Annunzio, da geniale tour operator, a inventare). Ma tutto ciò è ormai letteratura, nella realtà il luogo letterario non esiste più (Ermione). Come nei film di fantascienza che mettevano in guardia da spaventose invasioni di ultracorpi alieni, qui l’invasione del matsucoccus, volgarmente detto cocciniglia, temibile succhiatore di linfa vegetale, ha fatto strage di pini. Mentre i cipressi di Carducci resistono, i pini di D’Annunzio hanno ceduto, che sia una metafora del destino poetico dei due scrittori? Se Marina di Pisa resta un luogo letterario oggi lo è più per i romanzi di Marco Malvaldi che per i canti di D’Annunzio. È la democrazia, bellezza. La sensualità di Ermione lascia il passo a meno sensuali giocatori di briscola.

Rebus e pelota. La quinta tappa è Monterosso alle Cinqueterre. I luoghi montaliani per eccellenza resistono malgrado recenti bufere non metaforiche ma effettivamente e devastantemente meteorologiche. C’è ancora la spiaggia (l’ultima spiaggia della letteratura italiana?), c’è ancora la scultura del Gigante che un tempo reggeva la terrazza del dancing. C’è ancora la casa dove Montale villeggiava da bambino (non vi aspettate niente di simile al palazzo del Gattopardo). Non c’è più la casa dei doganieri. Ma l’impressione che il mondo di Montale è quello che regge più di tutti. Forse perché la sua poesia ha la natura e la struttura del rebus, del gioco enigmistico dove ricorrono i disegni di un osso di seppia, di un falco che vola, di una statua che dorme e, in mezzo alle figure, sillabe di parole che tentano il difficile collegamento tra le cose… La sesta tappa e la settima tappa sono a Milano. Entrambe in zona Brera. Prima si passa da via Palermo. Qui sorgeva lo Sferisterio dove si giocava alla pelota basca nel più arrabbiato dei romanzi italiani, La vita agra di Luciano Bianciardi. Lo Sferisterio c’è ancora ma non è più la palestra dove si scommetteva nella Milano del boom economico. Ora è un teatro per sfilate, figlio del made in Italy e della Milano da bere. Anche quella di Bianciardi era una Milano da bere, però sono due Milano da bere molto diverse…

L’altra tappa milanese è via Solferino 28, l’indirizzo del Corriere. Perché? Lasciamo la parola a Dossena. «Esce nel 1940 il Deserto dei Tartari, di Dino Buzzati. Per molti anni i critici cercheranno di spiegare il “caso” Buzzati parlando di Kafka e delle Dolomiti, finché l’autore stesso non spiegherà che quel “deserto” di frontiera, dove la guarnigione si consuma in attesa di un nemico che non arriverà mai, voleva essere una allegoria dell’atmosfera del “Corriere della Sera”». Un’altra volta vi racconterò cosa si prova a lavorare dentro un luogo letterario.

Abbandoniamo Milano per l’ottava e ultima tappa: la stazione ferroviaria di Reggio Emilia, dove si ritrovavano al «postoristoro» i fricchettoni di Pier Vittorio Tondelli alla fine degli Anni Settanta. È lo scrittore più vicino a noi eppure, per uno di quei paradossi della contemporaneità, il mondo che ha raccontato sembra il più lontano. Sarà vero così?