Storia margheritese – la famiglia Tomasi

Gattopardo(fonte archives.is)
Giuseppe Tomasi aveva trascorso l’infanzia parte a Palermo parte a Santa Margherita, ricavando indimenticabili dolci ricordi del tempo passato nel vasto palazzo, nell’incantevole giardino, delle gite alla Villa Comunale, a Montevago, alla Venaria, nella contrada Dragonara e a Misilbesi. Aveva conosciuto un ambiente sociale composto di persone che giudicava più buone di quanto in realtà fossero. Sicché‚ quando lo zio Alessandro, la sua mamma e le altre zie vendettero i terreni e il palazzo che in giovinezza era stato il suo regno incantato, ne subì un grande dolore. Fu tale dolore che, in maturità, lo portò ad esprimere il nostalgico ricordo dell’ambiente di Santa Margherita contenuto nei “Luoghi della mia prima infanzia”, dove luoghi e personaggi a lui tanto cari vengono fatti rivivere con accorato rimpianto. Ma i “Luoghi della mia prima infanzia” sono il preludio, sono la genesi dell’opera sua più importante “Il Gattopardo”. Nel romanzo, chiaramente autobiografico, nel protagonista Don Fabrizio, riferibile al suo bisnonno di Palma Montechiaro, nella realtà è da vedere lo stesso autore che esprime i suoi sentimenti, le sue concezioni di vita, che cita personaggi e località di Santa Margherita a lui tanto cari sicché‚ oltre quello dell’onestissimo amministratore Onofrio Rotolo emergono dalle sue memorie i nomi del giardiniere Nino, cioè Antonino Morello, del campiere Saverio, nella realtà Saverio Giambalvo, di Zzu Minicu e della sua taverna, cioè Domenico Mauceri, gestore di una taverna nel Corso Maggiore, dell’Arciprete Monsignor Trottolino, nella realtà Arciprete Pellegrino Crescimanno dal faccione arsiccio, del maestro di musica Francesco La Manno, nella realtà Francesco Lo Monaco. E tanti altri riferimenti all’ambiente di Santa Margherita. Se si leggono i “Luoghi della mia prima infanzia” e poi il “Gattopardo” si nota che le stesse descrizioni dell’ambiente di Santa Margherita, nel romanzo sono attribuiti all’ambiente di “Donnafugata”. Lo stesso palazzo con l’orologio col parafulmine, con i tre cortili, il teatro, il salone di Leopoldo, che prese quel nome dal Principe Borbonico che vi dimorò, la stessa piazza ombreggiata con il municipio, lo stesso giardino e tanti altri riferimenti. Donnafugata rannicchiata in una piega anonima del terreno, è il palazzo di Santa Margherita, rannicchiato nella piega del terreno tra le colline di San Calogero, San Vito e Sant’Antonio. Il Borgo Crocifisso è un riferimento al quartiere con la croce del Calvario di Santa Margherita. Nei “Luoghi della mia prima infanzia” Giuseppe Tomasi elenca così le sue proprietà: “Santa Margherita Belice, la villa di Bagheria, il palazzo di Torretta, la casa di campagna a Raitano. Vi era anche la casa di Palma e il castello di Montechiaro ma in quelli non andavamo mai. La preferita era Santa Margherita, nella quale si passavano lunghi mesi anche d’inverno. Essa era una delle più belle case di campagna che io abbia visto”.

Nel Gattopardo, Giuseppe Tomasi descrive così le proprietà del protagonista del romanzo, Fabrizio Corbera Principe di Salina: “Querceta, con le sue case basse attorno alla tozza Chiesa Madre verso la quale procedevano gruppi di pellegrini azzurrognoli; Ragattisi, stretto fra le gole dei monti; Argivocale, minuscolo nella smisuratezza della pianura frumentaria cosparsa di contadini operosi; Donnafugata con il suo palazzo barocco, meta di cocchi scarlatti, di cocchi verdini, di cocchi dorati, carichi a quanto sembrava di femmine di bottiglie e di violini”. Tali citazioni anche se con i nomi cambiati sono un chiaro riferimento alle reali proprietà della famiglia dello scrittore. Querceta è da individuare in Palma di Montechiaro, con case basse, con la tozza Chiesa Madre, meta di pellegrini per il clima mistico ivi esistente, richiamati dalla fama della Beata Maria Crocifissa, (La Beata Corbera del romanzo) e dal Duca Santo. Ragattisi è da individuare in Torretta, tra le gole dei monti del palermitano. Argivocale è da riferire alla casa di campagna di Raitano. Infine Donnafugata è indiscutibilmente identificabile con Santa Margherita Belice, con il suo palazzo barocco, meta di cocchi, di femmine, di bottiglie di violini per il fasto che aveva sempre visto ai tempi dei Filangeri, tra cui tre Viceré di Sicilia e per la permanenza che vi fecero i sovrani Borbonici. Il viaggio della famiglia del principe descritto nel Gattopardo è quello che porta a Santa Margherita. Partenza da Palermo in carrozza, sosta per una notte a Marineo, per la seconda notte a Prizzi e per la terza a Bisacquino. Proseguendo si dice “si erano costeggiati disperati dirupi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare”. Sono essi un riferimento ai disperati dirupi esistenti nello stradale che passa sotto Giuliana diretto a Sambuca. Dopo di che sosta a Rampinzeri, nome attribuito fantasticamente e forse riferibile alla fattoria che un tempo esisteva, le cui rovine vengono chiamate “Li Casalini”, ora vicine alla riva del Lago Arancio, nell’ex feudo Gulfotta di Santa Margherita Belice.

Nel romanzo si dice che arrivati a Rampinzeri “si andavano riconoscendo luoghi noti, mete di aride passeggiate passate e di spuntini durante gli anni scorsi, la Forra della Dragonara, il bivio di Misilbesi, fra non molto si sarebbe arrivati alla Madonna della Grazie che da Donnafugata era il termine delle più lunghe passeggiate a piedi”. Si era così arrivati a Donnafugata… in effetti a Santa Margherita, nelle cui vicinanze esistono le località sopracitate, descritte dal Tomasi, sia nei “Luoghi della mia prima infanzia” come nel “Gattopardo”, quale mete delle gite.

Perché poi il nome Donnafugata? Esso è un nome fantastico e simbolico, è l’allusione storica alla permanenza in Santa Margherita della Regina Maria Carolina, della regina fugata, che, fuggita da Napoli, dimorò a Palermo, poi alla Ficuzza, poi a Santa Margherita da dove per imposizione degli Inglesi fu pure costretta a fuggire perché‚ condannata a ritornare nella sua patria: l’Austria. L’arrivo del Principe descritto nel romanzo è identico all’arrivo di Giuseppe Tomasi e famiglia, descritto nei “Luoghi della mia prima infanzia”, lo stesso ponte, lo stesso percorso, lo stesso cerimoniale, l’arrivo nella stessa piazza e nello stesso palazzo e la stessa accoglienza da parte dello stesso amministratore Onofrio Rotolo. Anche il personaggio del Sindaco Calogero Sedara descritto nel romanzo, è un chiaro riferimento all’ambiente di Santa Margherita, dove il Sindaco Calogero Giaccone abitava di fronte al palazzo del Principe, ai tempi in cui il nonno dei Giuseppe Tomasi, Principe Lucio Tasca era consigliere comunale. Calogero Giaccone aveva una moglie bella che, come la moglie del Sedara, non frequentava l’ambiente frivolo e licenzioso di Palazzo Cutò, dove andavano a passare tempo i maggiorenti del paese, senza mai condurre le loro mogli, salvo in occasione dei ricevimenti ufficiali, degli spettacoli teatrali e dei concerti. Calogero Giaccone, nella realtà aveva un solo torto: era sindaco di Santa Margherita e avversario politico di Don Lucio Tasca. Era stata sua moglie la signora Calogera Cattano e altre persone della stessa famiglia Giaccone, ad acquistare parte del feudo Ficarazzi che fu di proprietà di Beatrice Tasca, madre del Tomasi. Perciò Giuseppe Tomasi descrive il sindaco con quell’astio e quel rancore di chi si sente quasi defraudato da un bene al quale era fortemente legato. Ne fa una figura diversa di quanto il Giaccone, persona rispettabile, non fosse, caricaturando il personaggio in modo esagerato. Era la vendetta di chi in qualche modo si sentiva spodestato.