Storia margheritese – I moti rivoluzionari del 1848

http--win_acateweb_it-public-carica-imotidel1848_masaracchio3(fonte archives.is) Ai moti rivoluzionari di Palermo del 12 gennaio 1848 parteciparono il margheritese Giovan Battista Di Giuseppe e il Montevaghese Dott. Giuseppe Montalbano. Nel 1849 la rivolta fu sedata e il Dott. Montalbano venne arrestato ed esiliato in un paese lontano almeno 100 chilometri da Montevago. Poi gli venne consentito di stabilirsi in Santa Margherita. Il Di Giuseppe, invece, riuscì a fuggire e raggiungere il Piemonte. Nel 1860 Giovan Battista Di Giuseppe fece parte dei Mille che seguirono Garibaldi in Sicilia. Il Dott. Montalbano, dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, formò una squadra di Picciotti e si unì a Partanna alla colonna del Colonnello Oddo per raggiungere Garibaldi a Palermo.

In quel periodo agiva in Sicilia, depredando e uccidendo in paesi e borgate una banda capeggiata da Santo Mele. Appena arrivata alle porte di Santa Margherita venne circondata dalle Guardie Nazionali e dalla popolazione e arrestata. Solo Santo Mele riuscì a fuggire. In seguito venne preso e riconosciuto dai Garibaldini e fucilato dopo un sommario processo. Il Dott. Giuseppe Montalbano, nel 1861, rientrato a Santa Margherita, cominciò a sostenere la rivendica dei feudi Calcara, Ficarazzi ed Aquila lasciati da Nicolò I, affinché venissero tolti a Giovanna Filangeri e assegnati al Comune. Ma gli affittuari di tali terreni, la sera del 3 marzo 1861, lo uccisero. L’indomani, 4 marzo, dopo l’accompagnamento funebre, i sostenitori del Montalbano, capo del Partito Popolare locale, ne vendicarono l’uccisione, assaltando il municipio e il Circolo del Civili e il giorno 5 fecero esplodere una mina che provocò il crollo di un’ala del Palazzo Municipale. I rivoltosi, durante la sommossa, uccisero ben sette persone: Michele Di Giovanna, Giuseppe Di Prima, Francesco Neve, Giuseppe e Leonardo Cattano, Pietro Giambalvo e Costantino Chetta. Un giovane di quindici anni, Antonino Randazzo, fu ucciso da Don Pietro Giambalvo mentre dal tetto del Municipio sparava contro la folla dei rivoltosi. La maggior parte dei sette uccisi erano completamente estranei al delitto Montalbano. La rivolta fu sedata con l’intervento di circa quattrocento tra soldati, carabinieri e componenti le Guardie Nazionali dei paesi vicini. Vennero arrestate più di sessanta persone. Nel 1864 ci fu la sentenza con la condanna di ventidue persone: una a dieci, tre a quindici e due a venti anni di lavori forzati e sedici ai lavori forzati a vita. Quei tragici eventi sono ancora ricordati con alcuni versetti: “Chianciti Donna Marta, chianciti a chiantu ruttu, vistitivi di luttu, chi lu pudditru è mortu e nun ritorna chiù”. Donna Marta era la moglie di Pietro Giambalvo, soprannominato “lu Pudditru”, ucciso dai rivoltosi perché ritenuto uno dei tre responsabili del delitto Montalbano. Altri versetti ricordano la morte di Costantino Chetta, un innocente, bravo e bel giovane, ucciso per sbaglio: “Chianci la so mamma, lu visu ch’era fino, a sulu annintuvarlu lu beddu Costantinu”. I fatti del 4 e 5 di marzo 1861 portarono grave danno e desolazione nella popolazione margheritese, specie nelle famiglie dei più dei sessanta arrestati. L’agitazione degli animi durò a lungo. Molti abitanti lasciarono il paese, sicché il numero della popolazione diminuì considerevolmente. Nel 1861 venne tolta dalla Piazza Municipio la statua che ora si trova nel rialzo a destra entrando nella Villa Comunale. Allora per l’esistenza di quella statua la piazza era chiamata “Lu chianu di lu pupu”.