S. Margherita: dopo 400 anni si è ancora alla ricerca di una identità perduta

di Francesco Sciara
Santa Margherita di Belìce ha compiuto, due anni fa, i suoi primi quattrocento anni di vita. Fondata nel 1572 dal barone Antonio Corbera, solo nel 1610 ricevette “il battesimo” e l’attribuzione del nome Santa Margarita.

Dal 1610 al 2012, 402 anni di storia sono tanti e hanno molto da raccontare.

In quattro secoli, si sono alternati periodi felici e tristi che hanno accompagnato la fondazione e lo sviluppo del paese, la costruzione dei principali monumenti, il periodo della guerra, dei fasti del Gattopardo, del tragico terremoto del 15 gennaio 1968 con la distruzione del vecchio paese, della ricostruzione e della rinascita della nuova Santa Margherita.

Una ricostruzione e una rinascita che ha alimentato, e ancora oggi alimenta, tanti sogni, idee e progetti di sviluppo sociale, culturale, turistico ed economico. Ma oggi, al di la dei sogni, delle idee e dei progetti per il futuro, qual’è la realtà della Santa Margherita del terzo millennio?
E’ una realtà che alimenta e si basa su tante piccole e grandi contraddizioni. Ed ogni margheritese, più o meno innamorato del proprio paese, si ritaglia la sua personale e libera idea.

Ecco alcune contraddizioni. La prima, la più importante è sullo stesso nome. Come si chiama, come si scrive, come è indicato sulla toponomastica o sulle cartine geografiche, come viene comunemente denominato dai margheritesi o dai forestieri, questo paese?

Dal primo nome di Santa Margarita, sono scaturiti Santa Margherita, Santa Margherita Belice e Santa Margherita di Belìce. L’esatta denominazione è quest’ultima con tanto “di” e di accento sulla “ì” di Belìce. Particolari questi che spesso, per fretta o per abbreviare, si finisce con il dimenticare.

Ed ancora: “città del Gattopardo”, “città del ficodindia”, ovvero “città del SS. Crocifisso”? O anche “piccolo paesino della Valle del Belìce”?

Sempre più spesso si reclama la “vocazione culturale e turistica”. Ma dei finanziamenti pubblici connessi a tale vocazione non si vede l’ombra. Come latitano gli spettacoli musicali e le manifestazioni culturali di un certo spessore.

Il Premio Letterario Internazionale “Giuseppe Tomasi di Lampedusa”, principale appuntamento culturale della città del Gattopardo, dopo diverse edizioni, non è riuscito, tra alti e bassi, a ritagliarsi uno spazio di prestigio nel panorama dei principali eventi culturali siciliani, italiani e internazionali. Le manifestazioni estive, organizzate in questi ultimi anni, sono state allestite con improvvisazione e pochezza di contenuti tali da non riuscire a richiamare, interessare e coinvolgere il grande pubblico.

Un’altra contraddizione: Santa Margherita di Belìce è “lu paisi di lu suli”, paese vivo, vitale, festaiolo, o è un luogo, come dicono diversi giovani e non, “dunni un c’è nnenti di fari”.

Il legame tra Giuseppe Tomasi di Lampedusa ed il celebre romanzo “Il Gattopardo” con Santa Margherita di Belìce è un grande valore aggiunto. Ma i luoghi del Gattopardo, non sono sempre e facilmente fruibili, tanto che le targhe e i cartelli con i giorni e gli orari di apertura sono praticamente inesistenti.

Le ville, i giardini e il verde pubblico dovrebbero essere oasi verdi dove anziani, bambini e cittadini possano trascorrere piacevolmente il tempo libero, invece sono spesso chiusi, sbarrati da catene e lucchetti.

Delle pessime condizioni della Villa Comunale, chiamata “la passeggiata”, e del degrado del tempietto del Cafè House si ci è accorti dopo la campagna di stampa de L’Araldo e le proteste dei cittadini margheritesi. Il Parco delle Rimembranze non si capisce se sia aperto o chiuso.

Dal punto di vista religioso Santa Margherita di Belìce si affida alla patrona Santa Rosalia e al compatrono SS. Crocifisso la cui effigie è stata benedetta e venerata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, il 09 maggio 1993, in occasione della sua venuta nella Valle dei Templi di Agrigento.

Ma si fa poco per valorizzare l’evento e ricordare il profondo legame tra il Grande Papa, il Crocifisso e il popolo margheritese.

I ruderi del vecchio paese, meta di curiosi, scolaresche e oggetto di riprese di film e documentari versa nell’abbandono e nel degrado più assoluto.

Non viene messo in sicurezza, non vengono realizzati percorsi turistici. La via Calvario è in pessime condizioni e il Belvedere, dove è posta la Croce di legno, non ha proprio niente di bello.

Santa Margherita di Belìce è il paese del ficodindia, della Vastedda della Valle del Belìce, che ha ottenuto il marchio DOP, della pecora della Valle del Belìce, razza famosa per la produzione di latte di ottima qualità. Di contro, non si riesce a programmare, a trovare una data fissa alle sagre e alle feste, a pubblicizzare e a  dare la giusta visibilità ai prodotti tipici agroalimentari del territorio margheritese e belicino.

I giovani margheritesi, che costantemente danno prova di essere attivi nelle associazioni culturali, religiose, sportive, lamentano e subiscono l’assenza delle infrastrutture: impianti sportivi polivalenti, kartodromo, piscina, campo sportivo, centri di aggregazione, teatro.

Certo nessuno ha la bacchetta magica per eliminare in un solo colpo le varie contraddizioni di un paese. Ogni cittadino che ha a cuore il proprio paese, però, può fare la sua piccola parte per cercare di superare le difficolta e trovare le soluzioni agli annosi problemi di Santa Margherita di Belìce.

Proporre alcune di queste contraddizioni non è solo facile critica. Ma auspicio e consapevolezza che il paese del Cafè House ha tante risorse e potenzialità per ambire ad un futuro migliore. Il pessimismo è tanto. Lo dimostra la sfiducia della gente e dei giovani verso le lusinghe della politica. Ai fiumi di parole e di promesse che scorreranno nell’imminente campagna elettorale, devono seguire i fatti e la realizzazione di cose concrete nell’interesse di tutti. Se non si vuole spazzare e annichilire, ulteriormente, i quattro secoli di vita e di storia di Santa Margherita di Belìce.