Premio Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa.2011 Serata finale,tracciamone un consuntivo

(2190) di Giacomo Giuffrida Samonà….
Chiusa l’ottava edizione del Premio Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è d’uopo, come nostra abitudine, tracciarne un sostanziale e globale consuntivo che riassuma luci ed ombre di una manifestazione entrata ormai fra i classici appuntamenti dei premi letterari che un po’ per tutto lo stivale costellano il panorama degli appuntamenti culturali estivi.  Andiamo quindi per gradi e vediamo nel complesso lo svolgersi della Settimana Gattopardiana, iniziando dalla serata clou, ossia dalla sera del Sabato 6 agosto, data della Premiazione dell’opera vincitrice del Premio.
Và innanzitutto rimarcato il grande successo di pubblico che letteralmente intasava, piacevolmente, il terzo cortile di Palazzo Cutò, storica sede della cerimonia finale del Premio.
Pubblico, attirato indubbiamente, oltre che dall’importanza del Premio in sè, anche dalla presenza di un testimonial quale Michele Placido, attore e regista di indubbio spessore e carisma, il cui intervento, sobrio, misurato, divertente ha affascinato gli spettatori, coinvolgendoli con leggerezza e stile.
Interessante e sostanzialmente esaustiva l’intervista, condotta con spigliatezza dalla direttrice artistica e conduttrice della manifestazione, Rosy Abruzzo, alla vincitrice del Premio, Valeria Parrella, che col suo, Ma Quale Amore, si è aggiudicata questa edizione del Premio.
Personalmente, quest’anno, non mi sento assolutamente di condividere, ma lo dico a titolo del tutto personale e soggettivo, la scelta della giuria, presieduta more solito, dal Prof. Gioacchino Lanza, con la motivazione, “il necessario cambio generazionale di stile e scrittura che sigla questo romanzo-racconto, uscito nel 2010 per i tipi di Rizzoli, che, in buona sostanza, altro non è che il racconto, in prima persona, (autobiografico ?) che la protagonista (l’autrice stessa ?) fà, di un amore giunto ormai irrimediabilmente alla frutta, inevitabile preludio alla fine di una storia affettiva ormai stiracchiata e logoratesi pagina per pagina. E ciò, nonostante lei, la protagonista, trascini quasi, tentando di coinvolgerlo, un ormai stanco e deludente “lui”, “ il mago ” in un viaggio intercontinentale da una stanca Napoli ad una passiva Buenos Aires, i cui scorci ambientali, dai quartieri “attraversati”, al maradoniano stadio di calcio, riecheggiano ideali parallelismi spagnoleggianti della città di provenienza e di inevitabile, e moralmente solitario ritorno, della protagonista, con la capitale sudamericana, antica e moderna ad un tempo.
Confesso, assumendomene l’assoluta responsabilità, che il romanzo-racconto della Parrella non mi ha assolutamente entusiasmato, non tanto almeno da giustificare, se non altro l’ottenimento di un premio “Alto e Prestigioso” quale nelle intenzioni dei promotori, “dovrebbe” essere il Tomasi di Lampedusa. Intendiamoci, Ma Quale Amore, non è assolutamente un libro da disprezzare e da leggere distrattamente, visto lo stile e la cifra utilizzati nella scrittura, ma, semplicemente, non è, sempre ripeto a mio avviso, opera così alta, pregnante, ed avvincente, nel contenuto e nella scrittura stessa, da meritare un così prestigioso riconoscimento.
Teniamo peraltro conto come il libro, limitato attualmente ancora alla tiratura della sua prima ed unica edizione, maggio 2010, non sembra aver riscosso dalla critica alcuna particolare menzione di rilievo per la contenutistica, distinguendosi, nella produzione della Parrella stessa, essenzialmente,se non “solo”, per il sostanziale cambio stilistico, rispetto ad altri lavori della stessa, premiati, e ripresi cinematograficamente, in altri contesti e premi letterari. Ma, ripeto, la critica letteraria, rispecchia inevitabilmente il sentire, il “palato”, ed anche “gli umori” di chi la esercita ed esprime, per cui, questo mio giudizio non vuol certo essere né “ex cathedra, né, men che meno, “stroncativo”, esprime solo e soltanto una legittima e liberissima opinione che ovviamente si presta anch’essa a non condivisioni, critiche e stroncature, purchè oneste, motivate, ed obiettive.
A precedere la cerimonia della premiazione, una messa in scena del famoso colloquio tratto dal Gattopardo, fra il Principe di Salina, Don Fabrizio Corbera, e l’emissario del governo sabaudo, CHEVALLY, venuto ad offrire allo stesso principe un seggio al Senato del neonato Regno d’Italia, da parte della neo-nata compagnia teatrale dei Gatto..pardi, ed  una coreografia, inneggiante all’Unità d’Italia ed ai suoi 150 anni, ideata, curata ed allestita, dalla stessa direttrice artistica e conduttrice, Rosy Abruzzo. Ben recitata la prima, gradevole e coloratissima la seconda, il cui balletto d’apertura, ricco di sventolanti ventagli, molto ricordava le coreografie ispirate dal teatro e balletto giapponese, seguiva la sfilata delle comparse in costume, tanto siciliano che gattopardiano, culminante con un momento di ballo rievocante la famosa scena del Gattopardo nella celelebre versione cinematografica. Piccoli nei da segnalare nei costumi, per quanto attiene ai figuranti, quelle raffigurazioni della Trinacria a tre gambe (la Triscele) in testa alle simpatiche ragazze figuranti, più che la Sicilia evocavano quasi, a mio sommesso avviso l’immagine della Medusa con i capelli serpentiformi, accanto a ciò, non felice, a mio avviso, il costume del figurante che affiancava sul palco, la bella rappresentante dell’Italia Unita, e che, con la sua rutilante e troppo “sviluppata” raggera di raggi tricolori, mi richiamava alla mente più che un simbolo dell’Unità nazionale, un variopinto costume da cerimonia tipico della antiche civiltà e variopinte cerimonie Maia ed Incaiche in genere, o peggio un rutilante tacchino che faceva la ruota. Ma si sa, i coreografi, spesso, sono letteralmente immaginifici !. Altro piccolo neo, nella scena del ballo, svoltosi, nel romanzo, nel 1862 a casa Ponteleone, quindi 2 anni dopo l’impresa garibaldina, Tancredi non aveva certo più la benda nera sull’occhio,(ferita riportata due anni prima alla battaglia di Palermo (vedi romanzo))) né, ormai ufficiale dell’esercito sabaudo, avrebbe mai potuto indossare una giacca bianca, tipica invece dello scomparso esercito borbonico, (e dei principi azzurri dei cartoons), ma il frak o al massimo la giacca scura dell’alta uniforme degli ufficiali. Ma ripeto, sono piccoli nei rispetto alla sostanziale riuscita complessiva della coreografia, che, dovuti alla probabile superficiale lettura del romanzo di Tomasi, possono essere anche perdonati.
Bello e commovente, invece, la dolcissima recita da parte di una giovanissima attrice in erba, di un messaggio-saluto all’Italia Unita, alla fine del quale il pubblico presente è letteralmente esploso in un lungo ed appassionato applauso, seguito poi, durante tutta l’esecuzione dell’Inno Nazionale, da un rispettoso e giusto alzarsi in piedi di tutti gli spettatori giustamente commossi e partecipi.
Piccola tirata d’orecchie, non me ne voglia, alla conduttrice, per aver più volte, storpiato il nome di CHEVALLY in CHEVALIER nel commentare la sopraccitata performance dei Gatto…pardi. Il personaggio dell’inviato sabaudo che colloquia col principe Fabrizio, si chiamava  Chevally, mentre, Chevalier, era un famoso e  bravissimo chansonnier ed attore cinematografico francese vissuto fra la fine del 1800 e la metà (sino al 1965 circa) del 1900. E sì che la dottssa Abruzzo, così attenta ai particolari, dovrebbe conoscerne, per essere, a detta sua, grande appassionata e conoscitrice del romanzo, la giusta dizione. Ma ripeto, peccato sostanzialmente scusabile e quindi assolutamente veniale.
Evitata, per fortuna, in questa edizione, la retorica consegna sul palco di targhe, targhette, riconoscimenti vari, mensioni d’onore, ricchi premi e cotillon, citazioni ad ogni piè sospinto di sponsor e quant’altro che avevano appesantito inutilmente  la cerimonia dell’anno passato, rendendola inutilmente stancante e simile, a tratti, ad una sagra paesana di basso profilo. Avevamo a suo tempo segnalato e rimarcato la cosa in un articolo dedicato al Premio, e vediamo con piacere come questo e numerosi altri nostri amichevoli ma sinceri suggerimenti e consigli, siano stati in vari momenti organizzativi e realizzativi di questa edizione, raccolti intelligentemente dagli organizzatori e conduttori della manifestazione. Segno che sebbene additati, il Movimento ed i suoi collaboratori e/o partecipanti al blog, oltre che come rompiscatole in servizio permanente effettivo, anche come “vox clamans in deserto”, il deserto poi, tanto deserto non è. Ma non cerchiamo medaglie, ci basta solo il cogliere nel segno sui vari fronti sui quali facciamo sentire la nostra libera e critica voce !.
Annunziato infine sul palco la simbolica posa della prima pietra di quella che negli intenti degli organizzatori del Parco Letterario, dovrebbe diventare una Biblioteca e Centro Studi Lampedusiani al servizio di studiosi ed appassionati della vita ed opere di Tomasi di Lampedusa. Anche qui, in un certo senso, lo scrivente, ed in prima persona, rivendica l’aver lanciato per primo, già da tempo,attraverso interventi sul Movimento, sull’Araldo ed in vari incontri privati con appassionati dell’argomento, l’Idea di una siffatta iniziativa. Si vede che “qualcuno”,(..lì “….dove si puote..”) in fondo in fondo, sordo o sciocco non è, pur non volendo “dare sazio”, (forse per non perderci la faccia o la cadrega (a seggia!!!))  ma ci si consenta, di questo, minimamente ci curiamo. Torneremo comunque sulla nascente iniziativa con un più ampio ed esaustivo articolo dedicato specificatamente ad essa, ed alla sua “prima pietra”, che simbolicamente era il libro in due volumi, “l’Assedio di Firenze” opera di Francesco Domenico Guerrazzi (ne era stato volutamente  anticipato il nome nella lettera qui pubblicata dell’Ammiraglio Caracciolo) stampato in italiano a Parigi dall’autore nel 1836,; libro già facente parte della biblioteca di casa Lampedusa, donato con simpatico gesto,alla nascente struttura, dal Dott. Salvatore Savoia, segretario della Società Siciliana di Storia Patria, che a suo tempo lo aveva trovato, ancora in ottime condizioni fra le macerie del Palazzo Lampedusa di Palermo.
Sulle altre serate relative alla settimana Gattopardiana, e sul suo consuntivo, torneremo su queste colonne in un successivo articolo.