Fuoririga: articolo sul presunto boss del Belice, Gino Guzzo

Immagine(425) Ecco l’articolo pubblicato sul periodico Fuoririga, dedicato alla figura del presunto boss del Belice, Gino Guzzo. A causa dell’incredibile successo di Fuoririga non ci sono più copie in commercio. L’unico modo per acquistarlo è on line, cliccando qui. Spero, pubblicandolo qui, di fare un servizio a quanti avrebbero voluto comprarlo ma non ci sono riusciti.

Quanto segue è basato sull’ordinanza di fermo dell’operazione di polizia «Scacco Matto». Non ci sono ancora sentenze di condanna o assoluzione, se non quelle passate in giudicato che hanno riguardato Gino Guzzo. Per cui coloro che di seguito sono citati vanno considerati innocenti fino alla sentenza.

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A tratti è riflessivo, saggio, salomonico. Un attimo dopo sfodera l’ira del capo indiscusso ed indiscutibile, del tiranno. E’ una figura ambigua quella dell’ultimo boss del Belice, Gino Guzzo, secondo le indagini capo incontrastato del mandamento che comprende Sciacca, Santa Margherita Belice, Menfi e Sambuca di Sicilia. E’ lui il «padrino» del territorio, o almeno lo era prima di finire nella rete dell’operazione “Scacco Matto”. E’ lui a tirare le fila, talvolta accarezzando gli uomini d’onore, talvolta umiliandoli e costringendoli a chiedere «scusa». L’aspetto fisico, la lucidità e la capacità di mediare ricordano l’ultimo Bernardo Provenzano, più stratega che «tratturi». La scalata di Gino Guzzo al vertice della cupola mafiosa di Agrigento inizia in un periodo di forte crisi vocazionale in Cosa Nostra. Il vecchio capomafia di Montevago, Pino La Rocca, ormai aveva una certa età e per portare avanti la «famiglia» aveva bisogno di energie giovani, di nuove leve. Ma di chi fidarsi a Montevago? Fu un uomo d’onore saccense, Accursio Dimino, ex compagno di scuola di Guzzo, a presentare Gino al grande vecchio come uno «apposto», di cui fidarsi. Prima «guarda spalle» di Don Pino, poi suo autista. Gino Guzzo è uno che la gavetta criminale l’ha fatta tutta, collezionando arresti e condanne che in Cosa Nostra fanno curriculum e certificano l’affidabilità di un uomo d’onore. Se non parli, se il carcere non ti spaventa, se dentro ti fai rispettare, hai stoffa. Gli inquirenti dicono che Guzzo è un uomo d’onore almeno dal 1996. In realtà l’affiliazione risalirebbe ai primi anni 90. Il ‘96 è l’anno della prima condanna per associazione mafiosa, da parte del Tribunale di Sciacca. E’ il 16 luglio 1996 e accanto alla frase «colpevole del reato ascritto» c’è un numero, l’8. Otto anni di reclusione «per la partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra», sentenza confermata poi dalla Corte di Appello di Palermo e divenuta definitiva il 9 ottobre del 1998. Il procedimento era il n. 7916/92,  «La Rocca + 24», denominato “Havana”. La sentenza è implacabile, così come lo sono le motivazioni: «in tale processo è emerso sul conto dell’indagato che:

– lo stesso era affiliato alla famiglia mafiosa di Montevago, ed aveva il ruolo di braccio destro del capo-mandamento locale Francesco La Rocca;

– si era distinto per il disprezzo della legge tanto da minacciare un carabiniere della Stazione del suo paese intimandogli di non farsi vedere più nelle sue vicinanze e non effettuare controlli sul suo conto;

– aveva partecipato insieme a Dimino Accursio all’organizzazione di un piano per uccidere alcune guardie penitenziarie;

– era in rapporti diretti sia con il più influente uomo d’onore della parte occidentale della provincia agrigentina, Salvatore Di Gangi di Sciacca, sia con il rappresentante provinciale di Trapani Matteo Messina Denaro, per conto del quale aveva trasmesso anche dei “pizzini” diretti agli esponenti di vertice dell’agrigentino».

Le parole dei magistrati non lasciavano molto spazio all’immaginazione. Di Gino Guzzo però parla anche l’ex super killer Luigi Putrone, oggi collaboratore di giustizia, che in due interrogatori, l’1 settembre 2006 e il 17 gennaio del 2007, ricorda di avere incontrato il Guzzo nei primi anni Novanta e che lo stesso gli era stato presentato come uomo d’onore. Gino lascerà il carcere il 5 febbraio del 2001. In semilibertà. Torna a Montevago e ricomincia subito a frequentare i vecchi amici, a cercarne di nuovi perché il carcere non ti allontana da Cosa Nostra. Nessuno ti può allontanare dalla «famiglia». La sua vita da «uomo libero» non dura molto però. Mentre gli inquirenti indagano, intercettano e pedinano alcuni sospettati saccensi, per quella che sarà poi «Scacco Matto», si imbattono di nuovo in Gino Guzzo. E’ il 24 gennaio 2006. Grazie alle microcamere nascoste, i Carabinieri registrano Guzzo mentre si incontra con Calogero Rizzuto e Accursio Dimino, affiliati alla famiglia di Sciacca. E’ fatta. Guzzo entra nel registro degli indagati. «Tale incontro – scrive il pm – è stato accompagnato da cautele tali da lasciarne intendere chiaramente la natura illecita». Durante l’incontro nelle campagne di Sciacca, Gino Guzzo consegna a Dimino un foglio di carta che viene letto da entrambi e che poco dopo ripone nella tasca interna del suo giubbotto. E’ un «pizzino». Da quel giorno, magistrati e organi di Polizia non lo lasceranno più un attimo da solo, fino ad arrivare ad una ordinanza di fermo di 1600 pagine in cui il suo nome compare ben 5846 volte. E dalle intercettazioni ambientali viene dipinto un boss che rappresenta la perfetta fusione tra la saggezza dei «palermitani» e la violenza dei «corleonesi». E’ il punto di riferimento del mandamento, riceve tutti i maggiori esponenti delle famiglie nel suo «ufficio» nell’officina di Antonino Gulotta, suo umile factotum. E’ li che si decide chi deve essere «messo a posto», chi deve lavorare, chi deve essere intimidito. Lui ascolta le istanze, riflette, medita, dispensa consigli e impartisce ordini facendo gravare su ogni parola il peso del capo. Lui, Gino Guzzo, è ambizioso. Non gli basta mettere il naso negli appalti, piegare le attività sotto il peso del racket, della «messa a posto», per lui non è abbastanza. Guzzo vuole espandersi in ogni direzione. Ed è così che lo vediamo interessatissimo ad entrare in massoneria, di preciso in quella di Castelvetrano. «Tu ci hai parlato con tuo cugino per il fatto della massoneria?» chiede a Giuseppe La Rocca, anche lui uomo d’onore di Montevago. Insiste sulla possibilità di piazzare uno della «famiglia». «Se ti capita l’occasione, io sono interessato Peppe, il più breve tempo possibile, a questa cosa. Gli dici che c’è una persona di un certo livello che è interessata a questa cosa… Possiamo parlarne con questo, gli dici». Certo, bisogna studiare il modo per non far pesare la sua condanna penale, un modo per «entrare dalla finestra» nella loggia. Ma affiliarsi ad altri fratelli serve, e il che la dice lunga sulla onestà e sulla potenza della consorteria massonica trapanese. Ma nelle mire di Guzzo non ci sono solo logge e grembiulini. C’è il potere politico, quello decisionale, quello che crea i posti di lavoro, quello che assume, quello che affida gli appalti. Gino Guzzo sogna di poter manovrare il Consiglio Comunale di Montevago, ma è cosciente che da solo non può arrivarci: «noi dobbiamo fare in modo che… soli non possiamo andare ad amministrare, non abbiamo le forze…». Il progetto del boss è di ampio respiro, e mira ad entrare «occultamente» nell’amministrazione del paese. Non ci sono ideali, destra e sinistra non contano. E chissà cosa direbbe Totò Riina, uno che mai sarebbe sceso a patti con dei «comunisti». «Ci abbracciamo a quello con cui abbiamo la sicurezza di vincere. Perchè, vincendo le elezioni, abbiamo 5 anni, stiamo la dentro, ci fortifichiamo facendo clientelismo, facendo politica, facendo politica… Ci fortifichiamo in maniera tale che ai prossimi 5 anni, lo diciamo noialtri che deve venire con noi» dice Guzzo. E per questa volta la famiglia di Montevago dovrà accontentarsi di sostenere un “lanzato di cane”, nella fattispecie il dottore Nino Barrile, attuale sindaco di Montevago, che a Guzzo non piace proprio. Lo considera il meno peggio, e a quanto dice ha già alcuni agganci: «Il dottore (ndr Barrile Antonino) la dentro deve comandare poco.  Allora, anche nella scelta della lista della cosa… ti pare che ho dormito! Ci abbiamo messo persone in lista che hanno proposto loro e devono fa…. e fanno quello che diciamo noi! Ci vado e gli dico: mi serve questa cosa. Non direttamente per dire…. a loro, a quello che è in lista». Ma Gino è un imprenditore, deve calcolare gli investimenti, i rischi e mettere in conto le perdite. Una macchina perfetta che non dimentica mai che per comandare serve carisma, serve pugno duro. E allora eccolo urlare, riguardo al alcuni fatti accaduti nel mandamento, «Ma come me lo viene a dire…ma questi qua non hanno cervello. ma come sono combinati, ma come sono combinati. […]questi qua, con la scusa di dire…neanche capiscono quello che fanno. Vedi che ci sono persone che alla fine vogliono morire. […]minchia, ma questi di qua, ma che minchia sono, ma veramente per forza si devono fare sparare, ma come minchia sono combinati questi due….(riferendosi ai fratelli Campo, Giovanni e Filippo. […]non vogliono pagare ! perché questi qua sono scimuniti, uno gli deve per forza rompere le corna, se non ci rompi le corna non fanno niente. alla prima occasione a questo ce lo  dobbiamo “cogliere”! alla prima occasione li facciamo pensare…chiamiamo a qualcuno ehh… domani mattina piglia e ci spara a sto cazzo di Fontana! (riferendosi al collaboratore di Vitino Cascio)». Lo ritroviamo ancora una volta mediatore quando deve frenare gli assalti dei fratelli Cascio, Vitino e Rosario, che cercando vendetta contro Errante, imprenditore di Menfi che aveva invaso il territorio del calcestruzzo a prezzi stracciati. “…qua il discorso…il discorso…Gì (gino)…qua il pesce puzza dalla testa…qua il discorso si deve affrontare a Menfi, loro non possono venire qua” urla Vitino Cascio. Di fronte alle rimostranze dei due uomini d’onore, Guzzo li fa calmare, e gli prospetta un chiarimento con Errante, pur di mantenere equilibrio e pace nella sua zona. Come quando deve vedersela con i fratelli Campo, di Menfi, che avrebbero pagato a Calogero Rizzuto, uomo d’onore di Sambuca, 42.000 euro per assicurarsi la fornitura del calcestruzzo per l’esecuzione dei “Lavori di eliminazione degli attraversamenti a raso e realizzazione di opere di svincolo tra i Km 99+000 e 136+1000”. Nonostante il pagamento vada a buon fine, la fornitura non arriva. Anche lì, il boss pensa, medita e risolve. Gino Guzzo è un capo mafia, è un boss. E in quanto tale deve stare attento. Nei movimenti, nelle parole, anche negli sguardi. E allora impone ai suoi uomini delle regole, alcune ingenue, come quella di staccare l’interruttore della corrente nell’officina per «disattivare» eventuali microspie, che però hanno una propria alimentazione. O di mettere sul un tavolo, lontano dall’ufficio nell’officina, i cellulari, così come quella di spegnerli durante gli incontri segreti. Bisogna stare attenti a facce nuove, a gente che può apparire strana. Ha il terrore delle microspie Gino. E a questo proposito è emblematico il suo scambio di battute con Mario Davilla, affiliato alla famiglia di Burgio, che ha paura di aver incontrato uno «sbirro» o comunque un uomo dei «servizi segreti». «Quelli analizzano tutto, la faccia, cose…capace che avevano… aveva gli occhiali? Davilla Mario: Si! Guzzo Gino: Aveva la microtelecamera agli occhiali…sicuro! Davilla Mario: Ma a questi livelli così? Guzzo Gino: Minchia a questi livelli? Va “Striscia la Notizia” da una parte …parole incomprensibili…». Un uomo d’onore, pesato e misurato, capace di colpire duramente, ma anche di comprendere ed intercedere: «Non se ne fanno colpi di testa…pigli un cristiano e gli spari…così. La vita di un uomo è sacra. Se poi giustamente questo….. allora si ci “cafulla” (ndr si colpisce)  così, con il piacere…. Ma, prima si verifica la cosa…. ». Oggi tutto questo sembra essere finito. Guzzo, almeno per il momento, è in galera con accuse pesantissime. L’intero mandamento è stata momentaneamente decapitata. E nel Belice si respira un aria diversa. Un giovane montevaghese, sul blog del «Movimento» di Santa Margherita, il giorno dopo il blitz «Scacco matto» lascia un commento: «a volte ho dovuto abbassare lo sguardo.. oggi alzo la testa».

Benny Calasanzio