Emozioni “Mondiali”

5155571049_d7abee0518_b(1658)    di Claudio Fabbra 
Sembrava un’utopia, un sogno per disillusi, una montagna ancora troppo alta da scalare. Quella montagna per molti, troppi, anni, ha portato il nome di “Olanda”, il nome di coloro che questo sport l’hanno inventato e fatto crescere. D’altronde è anche grazie a loro se l’Italia hockeystica, pochi giorni fa, ha potuto assistere a un tale spettacolo. Spettacolo in fatto di pubblico, di scambio interculturale, di giocate al limite dell’umano. E dire che esiste ancora qualcuno che li reputa diversi. Se la diversità è segnare quasi cinquanta gol in una competizione dal così alto tasso tecnico, pur non essendo in grado di stringere una mazza con la mano (vedi alla voce Bjorn Sarrazyn), allora si, questa diversità mi piace. Mi esalta. Mi esalta vedere la Germania, squadra, dai tanti, data per spacciata ancor prima dell”inizio della competizione, poichè considerata “vecchia” e senza idee, compiere un’impresa mai riuscita fino ad allora a nessuno. Mi esalta vedere un capitano, alto un metro e venti, metterli in riga tutti con due parole, padrone di una personalità propria a poche persone; quella personalità che ha acceso la miccia della motivazione in finale contro i marziani (visti con questi occhi). Mi ha emozionato vedere Koch, portiere tedesco, salvare due tiri in extremis di sua maestà Barrie Hoomel, poco prima del golden gol mondiale di Emmering. Vedere ragazzi provenienti dall’altra parte dell’emisfero giocare con carrozzine napoletane (vedi alla voce Australia). E infine vederli lì, tutti insieme, a ballare e cantare durante la cerimonia finale. Tutti tifosi della Germania? No, tifosi dello sport e dell’amicizia, senza preconcetti e barriere architettoniche. Per quanto riguarda il capitolo azzurro, sillogismi poetici potrebbero venir meno. Le statistiche raccontano del peggior piazzamento di sempre della Nazionale. Un quarto posto conseguente al gol-beffa dei finlandesi a soli trenta secondi dalla fine; che poi, a volerla dirla tutta, tanto beffa non era. E’ mancata esperienza e cinismo nei momenti in cui serviva, come nelle partita chiave con la Germania nel girone, e con l’Olanda in semifinale. E’ stato comunque emozionante vedere Sonia sorridere dopo ogni parata miracolosa, Tiziano regolarmente uscire le castagne dal fuoco con qualche giocata delle sue, Tommaso sciogliersi dopo una rete liberatoria, il capitano parlare della squadra come fosse un’appendice della sua anima, ma soprattutto vederli complimentarsi con gli amici finlandesi immediatamente dopo la cocente delusione della finalina, senza scenate o dimostrazioni isteriche.
Per noi, che abbiamo imparato ad amare il nostro caro amico wheelchair hockey, sono stati quattro giorni che rimarranno indelebili nella nostra memoria. Per noi che del wheelchair hockey abbiamo visto il paradiso.
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