Conosciamo meglio l’opera ” Gli Innamoramenti ” vincitrice del XI Premio Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Javier-Marias-Gli-innamoramenti_h_partbda sito Panorama.it (Javier Marías – Gli innamoramenti – Einaudi)
Romanzo di pensieri che come tessere del domino s’incastrano a (ri)proporre una storia o una visione o un intreccio complesso, nelle sue infinite varianti. Gli innamoramenti sono il contagio della nostra specie. Si nutrono di desiderio, si potenziano nell’attesa. Non ancora amore, non sempre amore, quasi mai amore. Quasi sempre ossessione. Questioni di vita e di morte. Come frutto di un’unica voce chiara e suadente, ripetitiva e insistente, colta, distaccata e perfino melliflua, Gli innamoramenti cattura nella rete del suo stream of consciousness. Afferra, scuote e confonde i pensieri nel flusso e poi te li ripresenta rovesciati come spuma dopo una mareggiata.

Di se stessi i pensieri conservano il ritmo, a volte un umore, ma la risacca li ha mutati in qualcos’altro. E da lì la voce ricomincia, il pensiero sale sull’ottovolante, curva a gomito verso una digressione poi piomba nel sottosuolo come una talpa furiosa a scavare nelle oscure stanze del rimosso, a scandagliare il regno degli affetti ben oltre l’orlo di ciò che saremmo disposti a sopportare. Avvolgente, freddo, traslucido. Finché con violenza cozza col suo oggetto: la passione.

Suggerire l’indicibile con purezza stilistica e formale. Rendere l’incertezza e il dubbio letterariamente sublimi, anche se umanamente contigui all’abiezione. Javier Marías usa il diabolico trucco di far sembrare il suo romanzo frammento di vita vera, malgrado gli eventi siano niente più che sagome nebulose. Gli innamoramenti è una seduta psicanalitica osservata dietro uno specchio, in cui sembra di sentire l’ascesa dei pensieri allo strato della coscienza. Ben presto non importa più se le premesse di ciò che è accaduto appaiano vere o nemmeno verosimili.

Marías risveglia “l’umanità eterna che dorme nel profondo del nostro seno spirituale” (Miguel De Unamuno). La percezione di leggere un romanzo pian piano svanisce, finisci per chiederti se potresti pensare anche tu quei pensieri, a illuderti di averli forse pensati. Ci sono caduto mentre riempivo pagine di appunti che ora non mi serviranno a niente. Perché appunto era un romanzo. E perché niente è come sembra nella bolla vischiosa di ogni innamoramento, padrone che non si piega e tantomeno si spiega.

L’innamoramento, dice non dicendolo Marías, continuerà a manifestarsi imprevedibilmente come motore di tutto, flatus vitae da cui la vita stessa nella sua pienezza dipende. Non l’amore assoluto dei giovani, non l’amor materno o filiale o quello quotidiano dei vecchi, non l’amicizia fra due uomini che dura dall’infanzia. Quell’innamoramento dio oscuro che non conosce giustizia e ingiustizia, che approfitta di una falsa e momentanea invulnerabilità per piegare ogni morale alle proprie fantasie incorporative. Delittuoso incestuoso cinico e usurpatore.

E poi? Una volta raggiunto il suo scopo? Il prolungarsi altera tutto. Le implicazioni legate al passare del tempo sono vivisezionate nel romanzo come in un’autopsia il cui responso è il più tetro dai tempi di Leopardi: ciò che dura si sciupa e finisce per marcire, e “le uniche persone che non ci vengono meno sono quelle che ci sono strappate”. Gli interrogativi si moltiplicano con il procedere delle rivelazioni. La verità si fa sfuggente, e allora perché cercarla, che non sarà bella da guardare in faccia. Intanto il tempo continua il suo lavoro sporco e surrettizio, ci assicura che tutto va avanti come ieri, ci stordisce d’abitudini finché arriva un giorno strano, impensabile. E “niente è com’era sempre stato”.

Pericoloso come un suono che ti rapisce dalle ore normali, questo libro è un lungo sospiro a immaginarci capaci di ogni nefandezza. In nome dell’amore, o più probabilmente del suo servo momentaneo e folle, l’innamoramento. “Sì traviato è ‘l folle mi’ desio/ a seguitar costei che ‘n fuga è volta”: Francesco Petrarca fu l’arte di dire tutto in un verso, Javier Marías è il coraggio di dire anche i pensieri non detti. I pensieri impuri.

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Luisa e Miguel sono la coppia perfetta: María Dolz, che lavora in una casa editrice di Madrid, da anni li osserva ogni mattina al caffè e dal quel rapporto fatto di sincera tenerezza e profondo affetto trae la forza per affrontare la propria assai meno perfetta vita privata e sentimentale, ma anche la insopportabile vanità dei suoi autori. Un giorno la donna scopre però che Miguel Desvern è stato ucciso, brutalmente accoltellato dal custode di un parcheggio, un balordo che vive in un’automobile. Dopo qualche tempo, Maria avvia una storia con Javier Diaz-Varela, il migliore amico del defunto, ma intuisce subito che questi è perdutamente innamorato della vedova: la morte di Miguel Desvern, all’apparenza casuale e inutile, le si presenta cosi sotto una nuova luce. La protagonista capisce via via ciò che il lettore di questo noir metafisico comprende da subito: che la storia è molto più complicata di quanto possa apparire. Dov’è la verità se di un avvenimento vengono proposte versioni sempre diverse, se appaiono inafferrabili persino i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre passioni? Cos’è l’amore se non la giustificazione per qualsiasi nostro atto, dal più nobile e altruistico al più scandaloso e deprecabile? Interrogativi e dubbi che in ultima analisi non troveranno soluzione perché raramente la lingua umana è in grado di agire in funzione della realtà e il più delle volte è solo strumento di continue, ulteriori mistificazioni.

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