4 omicidi e una storia funesta nella storia dei Corbera

corberaSi riporta dal sito Palermoviva a firma di Nicola Stanzione un articolo con titolo “Un’ intrigata vicenda d’Amore e di Passione nella Palermo di fine 500”
Nel gennaio del 1577 il Re Filippo II di Spagna nomina vicerè di Sicilia Marcantonio Colonna, principe di Paliano e duca di Tagliacozzo, uno degli uomini più influenti del regno.  Eroe di Lepanto, cavaliere del Toson d’Oro, un uomo d’arme di grande reputazione e capacità diplomatiche e tuttavia capace di farsi travolgere da una insana passione per una giovane nobildonna di quasi trent’anni più giovane.
Il non più giovane vicerè conobbe ad un ricevimento in suo onore la giovane Eufrosina  Siracusa  Valdaura, baronessa del Miserendino e rimase stregato dalla sua eccezionale bellezza.
La passione che lo travolse fu di quelle che fanno rimescolare il sangue nelle vene: il vicerè, senza curarsi del fatto che ciò avrebbe compromesso la sua dignità e il suo prestigio; senza riguardo per la sua consorte né tanto meno per il giovane marito della donna, don Calcerano De Corbera, iniziò una tresca amorosa con la giovane dama. Una passione che da lì a qualche anno avrebbe avuto tragiche conseguenze, portando alla rovina quasi tutti i protagonisti della intricata vicenda.
I cronisti dell’epoca ci hanno tramandato la storia con colorita dovizia di particolari: il contemporaneo Vincenzo Di Giovanni, che vi dedica largo spazio, presenta la bella Eufrosina come l’amante ufficiale del Colonna, non senza la tolleranza della moglie di lui, donna Felice Orsini, e del marito di lei, che faceva finta di non accorgersi dell’adulterio della moglie, divenuto ormai di dominio pubblico.
Il vicerè ricorreva a qualsiasi stratagemma per incontrare la sua giovane amante ed era talmente preso dalla passione per Eufrosina che non si creava scrupoli a farla venire al Palazzo Reale: aveva anche fatto sistemare degli ambienti sopra Porta Nuova per i suoi incontri amorosi.

Una notte la viceregina donna Felice sorprese i due amanti nella camera del marito, la giovane  confusa e in preda alla paura, afferrò le sue vesti frettolosamente e si nascose nel balcone, ma per la fretta dimenticò le pianelle davanti al letto, donna Felice le vide, le prese in mano e rivolgendosi al consorte disse: ”Ora conosco che siete diventato un marito amorevole. Le avete comprato per me queste pianelle?” Sfacciatamente il vicerè rispose di “si”. Allora la viceregina, che aveva capito tutto, apri il balcone dove trovò la baronessa tutta infreddolita, la fece entrare e dimostrando grande saggezza disse alla giovane baronessa; ”abbiate pazienza, che per questa notte mio marito lo voglio per me” e magnanimamente dispose di farla accompagnare a casa sua.
Marcantonio Colonna ormai reso cieco dalla funesta passione per la sua amante, arrivò al punto di far immortalare le sembianze della sua amata nella statua di una bellissima sirena dal cui seno zampillavano due getti d’acqua, che regalò alla città collocandola nella strada Colonna. Intanto le  notizie di questa tresca e le dicerie sui due amanti, giungono all’orecchio del  suocero della baronessa, il vecchio barone del Miserendino, don Antonio De Corbera (odiato dalla nuora), che precedentemente il vicerè aveva allontanato dalla città, nominandolo capitano d’armi a Sciacca.
Antonio De Corbera torna quindi a Palermo per accertare la veridicità delle voci convinto che solo la sua presenza avrebbe potuto ancora salvare l’onore della sua famiglia. A questo punto Marcantonio Colonna temendo la reazione del vecchio barone (anche  spinto dalla baronessa che vedeva nel suocero l’unico ostacolo alla loro relazione), dopo averlo fatto sospendere dai privilegi che godeva, in quanto familiare dell’inquisizione, lo fece pretestuosamente arrestare per insolvenza e rinchiudere dentro il Castellammare (in effetti il Corbera, impegnato nell’edificazione del paese di Santa Margherita Belice aveva contratto molti debiti).
Poco tempo dopo il barone morì in carcere per ragioni ufficialmente rimaste oscure, ma era opinione comune che fosse stato avvelenato.
Dopo il suocero restava il giovane marito, talmente sprovveduto da non comprendere quello che gli stava accadendo. Il vicerè lo fece invitare dal fratello, Pompeo Colonna, con la scusa di una missione diplomatica a Malta con le “galere di Sicilia”. A Malta il giovane barone fu trovato “ucciso con molte  pugnalate” da un sicario di professione, don Flaminio Di Napoli, che tornato a Palermo fu ricompensato generosamente dal Colonna, ma che di seguito fece la stessa fine della sua vittima: venne fatto affogare in un canale.
Ma le notizie di queste morti misteriose ( ma non troppo ) arrivarono fino alla lontana corte di  Madrid, dove Re Filippo si affrettò a convocare il Colonna perché si potesse discolpare dalle infamanti accuse che gli venivano rivolte, soprattutto da un congiunto dei De Corbera, Ottavio Bonett, che recatosi personalmente a Madrid trovò appoggio nei detrattori e nemici del Colonna, capeggiati dal Cardinale Granvelle.
Ma il vicerè non giunse mai a Madrid. Morì improvvisamente a Medinaceli durante il viaggio, anche lui in circostanze “misteriose”.
Chi aveva avuto interesse ad uccidere il Colonna?
La voce popolare indicava come mandanti i De Corbera, per vendicare il barone del Miserendino, ma altre ipotesi allora si fecero, considerando i tanti nemici del vicerè.  Tra le varie ipotesi c’è chi sostiene che nella morte di Marcantonio Colonna fosse coinvolto il cavaliere romano, don Lelio Massimo, marchese di Santa Prassede, amico e  stretto collaboratore del vicerè, il quale, come si mormorava, era stato sempre segretamente innamorato della bella Eufrosina.
Dopo la morte del Colonna, la giovane amante, ormai rimasta sola, cercò protezione da donna Felice Orsini, la vedova del vicerè, che la fece convolare a nozze proprio con il cavaliere Lelio Massimo che la condusse a vivere nel suo palazzo romano. Intanto l’eco dello scandalo era arrivata fino a Roma, anche perché vi era il coinvolgimento di esponenti delle maggiori famiglie dell’aristocrazia romana:  un Colonna, un Massimo, per non dire di una Orsini. Ma la tragedia non era ancora finita, anche la bella baronessa avrebbe pagato con la vita i suoi numerosi errori: infatti due dei figli di primo letto del marchese Massimo che vivevano nel palazzo, mal tollerando la presenza in casa di una donna con la reputazione così compromessa, una notte, approfittando della mancanza del padre, entrarono nella sua camera, e a colpi di “archibusetti” la assassinarono. Quella morte violenta portò alla rovina anche i suoi giustizieri, i quali, finirono decapitati e le loro teste appese sul ponte di Sant’Angelo.
Quanto a Lelio Massimo, da lì a pochi giorni morì di crepacuore, o forse per il rimorso di tutte quelle morti che pesavano anche sulla sua coscienza. Si trattò dell’ultima vittima di questa tragica catena che di morti ne ha contati in totale “otto”.

 Nicola Stanzione